BIOGRAFIA DI DANTE ALIGHIERI


9. Da "Tre donne intorno al cor" all'"Inferno"



Non è istanza primaria della critica dantesca, almeno in questi ultimi decenni, la necessità di concentrare su soggiorni passabilmente prolungati le varie stazioni dell'opera dantesca. È più affascinante, magari difficilior, l'ipotesi di una contemporaneità d'impegni e di tensioni intellettuali focalizzati in tempo 'aperto' e in spazi geografico-culturali differenti. Si può dar subito spazio al problema della composizione del De vulg. Eloq., da assegnare al primo rifugio veronese, e che pur nell'affinità gemellare col Convivio quanto all'esposizione di concetti celebrativi della dignità del volgare italiano, sembra che abbia avuto una certa precedenza. In tal senso il rapporto tra Dante e il suo tempo è più comprensibile come indice del grandioso influsso che egli esercitò sulla cultura linguistica del suo tempo, anziché come studio dell'influenza che l'età produsse sopra di lui; considerando queste fondamentali prospettive, poco importa soggiungere come l'altissimo concetto ch'egli aveva dell'arte a della cultura si traducesse, infine, in una visione troppo letteraria della nuova lingua, ché nella Commedia provvederà, con l'intuito fulmineo e la forza ineguagliabile del suo genio espressivo, a immettere nel vivo dello stile i fecondi e vivi apporti della parlata comune e dei dialetti, soprattutto del dialetto fiorentino nel quale, sostanzialmente, venne scritto il suo capolavoro, ma è anche redatta la prosa del Convivio. Infatti nel passo di Conv. I v 9-10 se coloro che partiron d'esta vita già sono mille anni tornassero a le loro cittadi, crederebbero la loro cittade essere occupata da gente strana, per la lingua da[lla] loro discordante. Di questo si parlerà altrove più compiutamente in uno libello ch'io intendo di fare, Dio concedente, di Volgare Eloquenza, "è manifesto che Dante, infervorato nella composizione dell'opera di scienza in prosa volgare, che concepiva ben ampia e complessa, rimanda quella sulla Volgare Eloquenza a tempo indeterminato, non senza qualche dubbio che potrebbe ben riferirsi alla causa dell'interruzione ", scrive il Marigo.

L'esordio del De vulg. Eloq. è opera di un uomo che tende celeriter a valorizzare l'originalità della propria impostazione di studio e il frutto dell'aqua nostri ingenii , quasi sollecitato da esteriori motivi che l'inducano a stendere un trattato che possa procacciargli udienza presso le corti o meglio in una città illustrata dallo Studio. Tuttavia dall'iniziale proposito accademico è subitaneo il passaggio all'occasione politica, che erompe irresistibilmente allorché al cenno sulla condizione di chi patisce exilium iniuste pur amando la gloria, si mescola con obiettività di trattatista la convinzione di quanto sia errato ritenere che in Italia non vi siano regioni e città magis nobiles et magis delitiosas (D.V.E. I vi 3 ) della Toscana e di Firenze: dov'è opportuno cogliere il dato iniziale dell'autore come non scevro ma nemmeno ancor corrucciato da risentimenti politici verso la città natale, e richiamato all'aspirazione di una patria linguistica più vasta perché retaggio dell'intera Italia e perché apportatrice d'ideali ed esigenze culturali non ristretti ai sentimenti, ai programmi di una sola città, quanto invece proiettato nell'amplissimo orizzonte del mondo politico italiano. È pur vero che la lingua delle grandi canzoni dottrinali non s'intende senza l'elaborazione teorica del De vulg. Eloq. nel II libro, ma è anche questa a risultare condizionata e sorretta dal lavoro ormai decennale attorno allo stile e alla metrica della canzone, cosicché ben si potrà intendere la preoccupazione di una teoresi linguistica nella zona anche cronologicamente intermedia tra il testo della singola canzone e la lezione concettuale dei previsti quattordici commenti: teoresi che vede non soltanto l'esaltazione della propria opera di filosofo-poeta, maestro di componimenti morali (Doglia mi reca dell'amico di Cino), quanto in modo meno flagrante la rispondenza dei requisiti di illustre (illustrante e illustrato), di aulico e di curiale a ogni elemento espressivo di questa e delle altre canzoni, esempio vivente di stile tragico, con gravitas sententiae, con superbia carminum, con excellentia vocabulorum, modello palese di elevata utilizzazione dei più nobili risultati linguistici, metrici e retorici dei Siciliani, dei Toscani di scuola guittoniana e degli stilnovisti, come pure di abile utilizzazione dei Provenzali.

Non è meno importante un ulteriore nesso tra i due trattati: giustificare il concetto di un volgare anti-municipale e affatto aulico e curiale come preparazione di un disegno enciclopedico di totale fruizione nazionale, il Convivio, a tutti i livelli e aree linguistiche. Quando si trasporta tutto questo intenso lavorio speculativo e applicativo sul piano delle rispondenze biografiche, ci si stupisce ancora una volta della possanza intellettiva di un uomo che, in anni di così turbinosi accadimenti interiori e repentini spostamenti di contrada in contrada d'Italia, sia riuscito a conservare una così grande capacità di concentrazione mentale: davvero Dante è uno scrittore dall'intelletto imperturbabilmente (o quasi) in continua condizione di lavoro; si oserebbe dire di lui che mai s'era veduto e si vedrà un animus tanto agitato in una mente così serenatrice e ordinata. Ed è questo, anche, il segreto di una 'memoria' invincibile e inestinguibile di cose lette e di cose sentite, tutte in un assieme di circostanze traumatiche com'è per 1'Alighieri il semplice vivere in un'età di grandiosi sconvolgimenti politici, tutti i poli opposti, i quali enucleano la visione storica di quel periodo nella vastità dei temi della Commedia. In tale prospettiva prendono luce le anticipazioni del mondo della Commedia riscontrabili dapprima nel De vulg. Eloq., poi nel Convivio: l'amara riflessione sulle colpe dell'umana natura nella prima cantica, il calco biblicizzante delle invettive del Paradiso, il dispregio per la vana superbia dei principi degeneri nell'Antipurgatorio, l'esaltazione delle virtù dell'Impero onninamente sparsa nel poema, la presunzione dei cittadini di Firenze, l'ottusa insensibilità dei Toscani, qui alle eleganze del dire, nel Purgatorio ai sentimenti di pace e di giustizia, nelle parole di Guido del Duca (due spie dell'analogo assillo per la degenerazione dei costumi), infine la nostalgia della patria lontana.

Il filosofo che parla delle superiori finalità dell'anima umana nel De vulg. Eloq., e teorizza sul concetto di dignità e sul triplex iter delle istanze dell'uomo, fonda nozioni che saranno più centrali nel Convivio. A chi legga con attenzione il noto passo di D.V.E. II ii 6-8, non potranno sfuggire intonazioni ragionative e predisposizioni di materiale filosofico che appaiono formulate in modo preliminare rispetto al Convivio; entrambi sono trattati, ma quello linguistico esige tempi e spazi minori, mentre l'enciclopedia filosofica poteva comportare il lavoro di un decennio e in essa Dante riponeva speranze di plausi e di ufficiali riconoscimenti ben maggiori, coinvolgendo una somma d'implicazioni letterarie tutte o quasi di diretta responsabilità dell'autore, ben poco essendo affidato (rispetto almeno alle trattazioni volgari del Duecento) alla scolastica ripetizione di concetti e nozioni scientifiche, morali, retoriche di uso comune e di stanca glossatura negli Studi. Un alto proposito insegnativo aveva presieduto alla duplice fatica di Brunetto Latini e a molte somme e tesori precedenti, con lo scopo d'istruire i lettori attraverso un'esposizione il più possibile completa dello scibile umano; Dante non segue più questa strada, blocca sin dall'inizio la materia ai campi più vari ma pur sempre concentrati della filosofia morale, astrae centralmente dalla metafisica e dalla fisica, dalle scienze matematiche e dalla geografia astronomica, e soltanto ne utilizza gli elementi e la fenomenologia là dove questi siano deputati a risolvere il singolo caso etico, il quale è visto sempre in connessione col preciso dettato dei versi delle canzoni, di modo che il risultato sia al tempo medesimo letterario e filosofico, e sfugga a un limitato fine di esclusiva proiezione dell'enciclopedismo del Duecento. Inoltre il proposito trattatistico cede più volte alla veemente carica d'idealità morali e politiche delle quali era nutrito l'animo dantesco, e anzi se ne andava sempre più nutrendo verso la direzione che sarà indicata nella Monarchia ma è già intuibile nei concetti di perennità dell'Impero romano, di vitale difesa dei diritti del volgare, e nel vigoroso entusiasmo per tutto ciò che è nobile e dotto; la moderna concezione della nobiltà dello spirito.

Il riflesso dell'esperienza personale è necessario all'inizio, quasi a stabilire una preliminare connessione tra il tempo storico delle canzoni (in un momento, goduto in patria, di libera applicazione di pensiero, nel transito elaborativo e sempre più teologizzante da Beatrice alla Donna pietosa, dalla Donna gentile e di nuovo e definitivamente a Beatrice) e il tempo della prosa, di forte grumo concettuale perché sono anzi vissuti da un uomo che non siede a la beata mensa, non si qualifica scienziato sic et simpliciter, ma fruitore di scienza, e non ha alcuna possibilità di attendere a studi specifici poiché è portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade (Conv. I iii 5), è costretto a raccogliere le briciole del convito dei dotti; dato che altro le circostanze non possono consentirgli; che chiosare le quattordici canzoni sì d'amor come di vertù materiate (i 14) .

Lo spazio bianco che intercorre tra la chiosa al commiato di Le dolci rime e i primi versi dell'Inferno, è enorme quanto al salto di qualità, al timbro espressivo, alle scansioni passionali, alla presa in carico di un materiale smisuratamente più gravoso, ma fu forse bruciato in un tempo rapidissimo, se non si vuol dar credito a ipotesi più affascinanti che le due fatiche, finale l'una e iniziale l'altra, si siano addirittura accavallate per un lasso di tempo che sono i mesi intermedi dell'anno 1307. Peraltro il problema non può essere ridotto meramente a un mutamento di programma letterario; occorre cercare qualche motivazione più profonda, che si ricolleghi a eventi della spiritualità di Dante, poiché in questo settore forse è dato cogliere il fenomeno più nuovo che presenti l'incipit dell'Inferno rispetto alle battute finali dei due trattati. La rivoluzione poetica a stilistica in nulla, d'altronde, può contrastare un totale commovimento etico-religioso, quale ben oltre la visione allegorica della Vita Nuova irrompe nelle prime terzine dell'Inferno.

Gli elementi religiosi presenti nella Vita Nuova restavano consegnati alla materia amorosa, come semplici accessori narrativi, pur inserendosi nella temperie morale del libello: Beatrice sedea in parte ove s'udiano parole de la regina de la gloria (V 1), in una chiesa dove si cantavano le preghiere in onore della Madonna; quando Beatrice viene a morte, essa è chiamata dal segnore de la giustiza a tessere le lodi, a gloriare sotto la insegna di quella regina benedetta virgo Maria, lo cui nome fue in grandissima reverenzia ne le parole di questa Beatrice beata (XXVIII 1); ovvero, nel primo cominciamento di Era venuta ne la mente mia, Beatrice fu posta da l'altissimo signore / nel ciel de l'umiltate, ov'è Maria (XXXIV 7 3-4); e così si potrebbero moltiplicare le citazioni dal libro giovanile, dalle rime del tempo della Vita Nuova, dalle rime dottrinali, ecc. Ma è sufficiente aprire le prime pagine dell'Inferno per avvertire che l'atmosfera spirituale è totalmente cambiata, sia nel tono fortissimo della carica umana e passionale che nel più vasto progetto ascetico-mistico: il viaggio di un'anima che, dapprima avvolta nelle spire del peccato, ha potuto trovare parte in sé e parte nella misericordia divina la possibilità di liberarsi dalle colpe, prendendo visione di ciascuna di esse nella regione infernale. Questo itinerario religioso si attua sotto l'incessante sollecitazione di una grandiosa speranza nella rigenerazione dell'umanità ma anche sopra lo stabile piedistallo della fede e della conoscenza storica del cristianesimo (la presenza dell'idea di Roma come sede perenne della Chiesa di Cristo; il concetto di 'Impero sacro' perché voluto da Cristo e che nella sua storia precristiana ebbe la grande virtù di preparare l'avvento del Vangelo; la rigenerazione dell'umanità allorché saranno cacciate le tre fiere). Il profetismo di Dante è ormai un fatto centrale nella sua vita, un evento totalmente nuovo anche rispetto a timidi preannunci di una nuova generazione umana nella canzone Tre donne intorno al cor; poggia nell'ardente aspettazione dell'arrivo di una potenza misteriosa (il Veltro, poi il Cinquecento dieci e cinque), che si può identificare nella potestà rigenerativa di una gerarchia rinnovata dallo Spirito Santo e operante in un ambiente che ha la religione della povertà evangelica, anche nel culto delle tradizioni liturgiche, massimamente in quello mariale. Il mondo del profetismo gioachimita e celestiniano del Duecento crea nuovi temi e interrogativi all'animo del poeta; l'uomo Dante si ritrae e analizza nelle sue esitazioni morali e nel suo bisogno di sacrificio e di redenzione, con una forte percezione del peccato che l'ha macchiato e con ardente volontà di purificarsi. D'ora in poi la vita politica e quella intellettuale dell'Alighieri s'identificheranno totalmente nel titanico sforzo di portare avanti, canto per canto, il sogno mistico della 'divina' Commedia.