Società Dantesca Italiana
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traduzione a cura della SDI

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Epistole, I - XIII - tr. Frugoni-Brugnoli - Epistola I

1Al reverendissimo padre in Cristo, al più caro dei propri signori Nicolò, per celeste misericordia vescovo d'Ostia e Velletri, legato della Sede Apostolica nonché ordinato dalla sacrosanta Chiesa paciere in Toscana, Romagna e Marca Trevigiana e nelle regioni circostanti, i devotissimi figli A. capitano, il Consiglio e l'Università della parte dei Bianchi di Firenze con tutta la loro devozione e il loro zelo si raccomandano.
2[1]. Da comandamenti salutari ammoniti e richiesti dall'Apostolica pietà, al contesto della santa voce, che ci inviaste dopo i consigli a noi cari rispondiamo. E se colpevoli di negligenza o di ignavia fossimo giudicati per la colpa della lentezza, la vostra santa discrezione inclini al di qua della condanna; e ponderato di quanti e quali consigli e risposte, nel rispetto della lealtà del consorzio, la nostra Fraternità abbisogni procedendo convenientemente, e insieme le cose che qui tocchiamo, nel caso forse che siamo biasimati di aver mancato alla dovuta celerità, preghiamo che la sovrabbondanza della vostra Benignità sia indulgente.
3[2]. Come figli non ingrati dunque vedemmo la lettera della pia vostra Paternità, che, riecheggiando i princìpi di tutto il nostro desiderio, di colpo le nostre menti di tanta gioia inondò quanta nessuno potrebbe con la parola o il pensiero misurare.
4Poiché la salute della patria che agognavamo sognando quasi per il desiderio, più di una volta le parole della vostra lettera sotto il paterno ammonimento ha offerto.
5E per quale altra mèta precipitammo nella guerra civile? E a che altro miravano le nostre bianche insegne? E per quale altro scopo rosseggiavano le spade e le lance nostre se non per ottenere che coloro che avevano spezzato i diritti civili con dissennata determinazione, sottomettessero il collo al giogo delle sante leggi e fossero costretti alla pace della patria?
6Anzi, la freccia legittima della nostra intenzione lanciandosi dal nervo che tendevamo, chiedeva soltanto la pace e la libertà del popolo fiorentino; chiede e chiederà in futuro.
7Che se siete vigile del bene a noi tanto caro, e intendete ricondurre i nostri avversari come hanno voluto i vostri santi tentativi nei solchi del buono stato, chi potrà sciogliervi grazie degne? Non lo possiamo noi, padre, né alcunché di gente fiorentina in questo mondo; ma se una pietà è in cielo che guardi tali azioni degne di premio, quella rechi ricompensa a voi degna, che vi siete vestito di misericordia per così grande città e vi affrettate a sedare le empie lotte dei cittadini.
8[3]. Certamente, poiché per un uomo di santa religione, frate L., persuasore di buon governo e di pace, siamo stati ammoniti e vivamente per voi richiesti, come anche la vostra stessa lettera diceva, di cessare da ogni assalto e azione guerresca e di rimettere noi stessi nelle vostre paterne mani, poi figli a voi devotissimi e amanti della pace e giusti, deposte ormai le spade, ci sottoponiamo al vostro arbitrio con spontanea e leale volontà, come si dirà per la relazione del predetto vostro messo frate L. e sarà dichiarato per pubblici atti solennemente rogati.
9[4]. Perciò supplichiamo la pietà vostra clementissima con voce filiale e con infinito affetto di voler irrigare del sopore di tranquillità e pace quella Firenze così a lungo agitata e di tener raccomandati come pio padre noi che sempre siamo alla difesa del suo popolo e le cose che son nel nostro diritto; noi che, come non desistemmo mai dall'amore della patria, così non intendiamo mai uscire dai confini dei vostri ordini, ma ubbidire sempre tanto debitamente quanto devotamente a qualsiasi vostro comando.