| Alma voce delle Pieridi, tu che blandisci con canti mai prima uditi
il mondo dei mortali, mentre col ramo della vita cerchi di sollevarlo
mostrandogli le sedi della triplice sorte assegnate
secondo i meriti delle anime ‑ l'Orco agli empi,
il Lete a coloro che saliranno al cielo, i regni empirei ai beati ‑,
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| perché getterai sempre innanzi al volgo argomenti sì gravi,
e noi dediti allo studio nulla avremo da te poeta?
Ma senza dubbio con la tua cetra commoverai prima il curvo delfino;
e un Davo scioglierà gli enigmi dell'ambigua Sfinge,
prima che la gente incolta si raffiguri l'abisso del Tartaro
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| ed i segreti del cielo, a fatica da Platone tratti fuori dalle loro sfere:
eppure queste cose, senza mai averle capite, va gracidando pei trivii
un azzimato ciarlatano, che vorrebbe mettere al bando perfino Orazio.
«Non parlo a costoro,» tu dici «bensì a quelli che son fatti esperti dallo studio».
Sì, ma in poesia popolaresca: e il dotto disprezza gli idiomi volgari,
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| anche se non variassero, mentre sono infiniti.
Oltre a ciò, nessuno di quelli nella cui schiera sei sesto,
e neanche colui che segui andando verso il cielo, scrisse in una lingua di piazza.
Perciò, o liberissimo giudice di poeti,
io dirò quel che penso se tu mi lasci un po' parlare.
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| Non gettare prodigo le perle ai cinghiali,
né umiliare le sorelle Castalie con una veste indegna,
ma ‑ ti prego ‑ intona, facendoti comune all'uno e all'altro ceto,
voci che possano segnalarti per una vera poesia da vate.
E già molti eventi chiedono luce alla tua narrazione:
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| orsù, narra con che volo l'armigero di Giove salì agli astri;
orsù, narra quali fiori, quali gigli troncò l'aratore;
parla dei daini frigi straziati dal dente del molosso;
parla dei monti di Liguria a delle flotte napoletane:
con un canto per cui tu possa toccare le colonne d'Ercole
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| e per il quale l'Istro rifluendo ti ammirerà devoto,
e ti conosceranno il Faro e il regno che un tempo fu di Elissa.
Se ti è cara la fama, non ti contenterai di restare chiuso
in brevi confini né di essere esaltato dal giudizio del volgo.
Ecco, se me ne riterrai degno, io per primo, clerico delle Muse
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| e servo di Marone anche nel nome,
gioirò di presentarti ai ginnasi con le illustri tempie profumate
dai serti d'alloro dei trionfatori; così come l'araldo
dalla forte voce, cavalcando avanti,
si compiace di mostrare al popolo lieto i solenni trofei del duce.
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| Già il mio udito è scosso da clangori guerrieri:
perché il padre Appennino minaccia? Perché Nereo
agita il mare Tirreno? Perché Marte freme sull'uno e sull'altro?
Tocca la cetra, placa sì grandi travagli degli uomini.
Se tu non canti queste cose avvincendo anche gli altri
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| a te divenuto poeta, così che tu da solo abbia canti per tutti, esse rimarranno non dette.
Ma se è vero che nella terra in mezzo al Po tu mi desti speranza
che avresti degnato visitarmi con lettere amiche,
e non ti rincresce aver letto per primo i fiacchi versi
che l'oca temeraria stride al canoro cigno,
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| ti piaccia di rispondermi o di dar compimento ai miei voti, o maestro.
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