Come si è già accennato, alla morte di Beatrice seguì un periodo di studi severi. Dante getta ora le basi di tutto il suo mondo speculativo e pratico; accanto al poeta si plasma il robusto (anche se eclettico) pensatore, quale apparirà nelle opere più complesse dell'età matura. Boezio e Cicerone gli aprono un mondo nuovo; egli frequenta presso i Francescani e i Domenicani "le scuole de li religiosi e le disputazioni de li filosofanti" (Convivio II xii 7). Da questo arricchimento di pensiero e dall'incontro con testi e autori classici e medievali basilari per la sua formazione (Virgilio, Ovidio, Lucano, Stazio, le opere d'Aristotele - particolarmente l'Etica e la Politica - commentate da San Tommaso, Alberto Magno, San Bonaventura, Averroè) nascono le rime allegoriche in lode della Filosofia come scienza (Voi che 'ntendendo e Amor che ne la mente mi ragiona) e quelle dottrinali, a celebrazione di due virtù morali, Nobiltà e Leggiadria. Quest'ultime (Le dolci rime e Poscia ch'Amor) per il reciso giudicare su idee e modi di vivere correnti, mostrano non solo (come le precedenti) il dilatarsi d'una cultura e di una problematica, riflessa in temi nuovi (con la rinuncia a poetare unicamente d'amore); ma sono il chiaro frutto della quotidiana, risentita esperienza (vòlta in meditazione) di come i pregiudizi di casta fossero alla base delle violenze magnatizie (un tema che affiorerà, con Filippo Argenti, nel canto VIII dell'Inferno); e ci dicono l'avvenuta concreta adesione agli ideali democratici del Comune guelfo, alla cui vita Dante veniva sempre più partecipando.

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