BIOGRAFIA DI DANTE ALIGHIERI


4. Le fasi della vita poetica giovanile



L'avvio dell'esperienza poetica era avvenuto nel clima culturale e stilistico della scuola guittoniana, avvertita dapprima come l'unica possibilità di poetare che si potesse offrire a un intellettuale di diciott'anni, per il quale le precedenti formule dei Siciliani non s'inserivano nella rigogliosa e composita società comunale delle città toscane, e la molteplice tematica di Guittone appariva idonea a esprimere la vivezza politico-morale dei fatti che s'erano verificati nell'ultimo decennio di storia.

Tuttavia dal sonetto A ciascun'alma e dalla replica sulla visione Savete giudicar si estraggono alcuni elementi formali, che non possono soltanto dirsi "siculo-toscani ", piuttosto tipicamente fiorentini, sia pure di una fiorentinità soltanto maianesca in cui la singolarità dei contenuti (anche e soprattutto dove Dante guarda meno ai provenzali e più a Guittone) si dipana però da una 'scolastica' capacità di ragionare assai vicina alle proprietà concettuali del Maianese. Quanto ai Siciliani, in questo primo momento della sua formazione poetica e sotto l'urgere delle nuove voci che venivano dalle altre città di Toscana e poi da Bologna, Dante non nutrì dapprima grande ammirazione, o forse li conosceva soltanto attraverso la mediazione e addirittura la soluzione concettuale imposta da Guittone. Cosicché gli elementi meridionalistici e gallicistici del primissimo Dante sono subito sottoposti a un'intensa iniziativa di raffinatezza formale, in cui giocheranno il secondo soggiorno bolognese e poi l'esperienza cavalcantiana, infine la conquista affatto personale di una "lingua più francamente fiorentina" (Baldelli).

Viene naturale chiedersi se la fase guittoniana di Dante è sua propria caratteristica che segna un ritardo o una misconoscenza del nuovo modo di poetare di Guido e di Lapo, nel mentre i due fiorentini s'erano già staccati risolutamente dal clan dei guittoniani di Firenze, ovvero la svolta di Dante è coeva a quella di Guido, allorché i poetae novi di Firenze riescono a procurarsi i testi del Guinizzelli e forse è Dante a recare da Bologna i materiali di studio. Il ritardo tra lo Stilnovismo originario (Bologna tra il 1265 e il 1274, data dell'esilio del primo Guido, o sino a qualche anno dopo la morte, 1276, con la divulgazione del canzoniere guinizzelliano e l'assestamento di tutta la nuova rimeria bolognese) e il neo-dolce stile fiorentino, pensabile per l'appunto soltanto nel decennio successivo, si può eccellentemente giustificare con la difficoltà di scalzar subito il predominio di Guittone (là dove a Bologna non era esistita una grossa personalità, capace di frenare la storia dottrinaria e poetica del Guinizzelli); ma è indubbio che lo sfasamento è anche nelle cose, cioè nel tempo di ` viaggio' da una cultura regionale a un'altra.

La cronologia delle rime del Cavalcanti e di Dante non è accertabile sino al punto di precisare i momenti risolutivi della giovinezza poetica dell'uno e dell'altro amico, almeno prima di Guido, i' vorrei. L'età maggiore e il prestigio familiare del Cavalcanti giocano un ruolo superiore allo stesso confronto dei testi del canzoniere d'uno e d'altro, sì da mutuare l'ipotesi della priorità di Guido, 'maestro' dell'Alighieri. Nulla sappiamo di rapporti diretti tra il Cavalcanti e Bologna, ma conosciamo con buona sicurezza, come s'è visto, il primo soggiorno bolognese di Dante, così da affermare che poco oltre i vent'anni questi poté avere esperienza diretta del clima poetico di Bologna e del Guinizzelli più di quanto non potessero gli amici rimasti a Firenze. È concesso inferire che fu proprio Dante a trasportare nel pieno del 1287, di Bologna in Firenze, il canzoniere guinizzelliano e altre rime bolognesi; tuttavia è possibile concedere che la 'svolta' concettuale e programmatica ebbe a prodursi press'a poco nel medesimo periodo, e che il soggiorno bolognese può aver consentito a Dante una relativa autonomia di formazione culturale, nel cammino da Guittone al dolce stile, con la possibilità di una verifica personale dell'ambiente e dei contenuti della nuova scuola. Si suol dire che il Cavalcanti giunse per primo a una personale teorizzazione, e che Dante sino alla vigilia di Donne ch'avete vive nel clima di Donna me prega; comunque ciò non significa che nello sviluppo cronologico del movimento Dante si trovi a intervenire nell'arengo poetico in un momento successivo rispetto al passaggio da l'uno a l'altro Guido (Purg. XI 97), proprio quel Dante che si fa dire da Bonagiunta di esser stato lui, colui, a trarre fore le nove rime (Purg. XXIV 49-50), per primo o almeno in modo da creare per primo con Donne ch'avete un più consapevole ed elevato movimento d'idee e di tecnica letteraria, non le 'proprie' nove rime, ma le nove rime in senso assoluto nella storia della poesia fiorentina.

Quando l'esegesi dei canzonieri bolognesi si farà sforzo comune dei giovani letterati fiorentini, accadrà che una storia d'amore disposta in senso narrativo (la Vita Nuova ) occuperà tutta la mente di Dante, ma si produrrà anche un movimento in direzione inversa: quasi che Dante, alla ricerca del personale senhal, lo identifichi in un personaggio (Beatrice personaggio), lo elevi a numero e a simbolo, ne tragga una vicenda tutta propria sino alla poetica della loda, inscrivendo più degli altri coetanei la propria concezione dell'amore in una 'nuova vita', in un canticum novum che è movimento (o inizio di un movimento) verso l'assunzione del valore di Beatrice nel concetto stesso della Grazia e della Teologia. Più che per gli altri stilnovisti le occasioni che avevano indotto Dante all'affermazione delle nove rime, scaturivano dalla contrapposizione di un rinnovamento rispetto alla stasi morale, di un'assoluta originalità di esperienze rispetto al convenzionale e al consueto, immettendo la nozione di Amore-virtù, di Amore 'novissimo' all'interno di una 'nuova' tecnica letteraria che oscura e quasi annulla le precedenti forme del poetare, e supera le prefabbricate situazioni psicologiche dei siculo-toscani sintetizzando energicamente o analizzando sottilmente gli elementi dell'indagine morale. La fantasia dantesca s'è fatta tra il 1291 e il 1294 più concreta nel lento ma progressivo incardinarsi in organismo filosofico. Il poeta si serve di ogni elemento della fabula narrativa della Vita Nuova per conservar desta la propria acuta sensibilità, e per rintracciare, al fondo della coscienza, una serie di notazioni morali, tutte concretamente riconducibili all'uomo-poeta, e perciò naturalmente adatte ad accogliere quel che di 'nuovo' s'agita nei sentimenti: singolarità di stato morale, autenticità dell'inquietudine, consapevolezza di godere una 'novella età', godimento di vocaboli e immagini in un clima di rarefazione della realtà e di trasfigurazione di ogni simbolo. Nella loda di Beatrice la stupefatta ammirazione per la donna si trasferisce in un superiore piano di elevazione concettuale che perfeziona il repertorio visivo di Guido nel traguardo di uno stile personalissimo, di una concettualità più aerea e melodiosa di quella degli altri stilnovisti.

Le opinioni di Dante rispetto al dolce stile, quali consente l'analisi dell'episodio di Bonagiunta in Purg. XXIV, appaiono espresse a notevole distanza dagli anni di apprendistato guinizzelliano e di sodalitar cavalcantiana (approssimativamente vent'anni dopo, e cioè circa nel 1312). Le idee di Dante giovane potevano anch'essere diverse, seppur certamente non opposte, e inserirsi in uno sforzo di 'scuola', in un comune lavoro d'intellettuali alle prese con una sempre varia situazione etico-politica. Forse soltanto all'epoca di redazione dell'episodio Dante poteva così nettamente isolare sé stesso di contro alle vecchie voci del Notaro, di Guittone e dello stesso Orbicciani, non trascurando certo il Guinizzelli, non dimenticando di accennare al superamento del primo Guido da parte del secondo, pur tuttavia sottolineando che forse è nato / chi l'uno e l'altro caccerà del nido (Purg. XI 99). Vent'anni prima, invece, Dante avrebbe detto di sé assai differentemente, consapevole come dovett'essere di operare all'interno di una 'scuola' letteraria senza gerarchie, se non quella dell'autorità politico-sociale a della maggiore età del Cavalcanti.

In ragione di tutto ciò ogn'altro elemento autobiografico o presunto tale, deducibile dalla lettura della seconda parte della Vita Nuova, perde anche quel labile contorno materiale che potevano avere le donne dello schermo, o Giovanna, o la sorella del poeta o il fratello di Beatrice, o la città in cui la 'favola' si svolge, la strada che Beatrice percorre, la chiesa in cui s'innalzano preghiere a Maria Vergine, gli amici che sono testimoni della ricorrenza della morte di Beatrice, quindi la donna pietosa, infine la mirabile visione. Ma l'evento che, primo tra gli altri, pone pesanti problemi a chi cerchi di tracciare il progresso della vita del poeta senza distogliere lo sguardo dalla sua opera e senza rendere esclusivi i dati esterni degli archivi, è il problema del cosiddetto traviamento di Dante, della sua possibile datazione, della sua durata reale o fittizia. Se si dovesse dare una spiegazione letterale ai termini espressi dalla Commedia, si dovrebbe inferire che il traviamento ebbe inizio subito dopo la morte di Beatrice e principia a cessare con la salvazione dalla selva, dopo che Beatrice, esperiti tutti i tentativi, decide di mostrargli le perdute genti: 25 marzo o, se si vuole, 8 aprile 1300. Il decennio di dispersione e di allontanamento da Beatrice sarà indicativo di una situazione o dottrinale o psicologica o letteraria ove il terminus a quo addita le cause efficienti e le centra nel rimprovero del Cavalcanti in I' vegno '1 giorno a lo 'nfinite volte, il terminus ad quem la maturata convinzione di dover intraprendere una più concreta e vasta realizzazione della mirabile visione. Conoscendo la perspicacia numerologica e l'impegno prospettico dell'autore della Commedia, si può ritenere che il decennio del traviamento conoscesse suddivisioni in curve paraboliche che situano il 'vero' momento della dispersione nella zona centrale del lasso 1290-1300. È deduzione tradizionale che la Tenzone con Forese ipotizzi il momento 'più grave' del traviamento, e la data presumibile della Tenzone coincide col punto centrale del decennio: negli anni 1293-1296, non troppo presto rispetto all'annovale (V.N. XXXLV 3) della morte di Beatrice, non oltre ovviamente la data del decesso di Forese (1296).

Con ciò non si vuole affatto affermare che l'accadimento materiale del contrasto letterario con Forese Donati debba avere di necessità una data, un anno, ma che invece Dante ha voluto ad arte assegnargli una posizione mediale nella sua storia letteraria, di riflesso nel ricordo che della Tenzone ha o potrebbe avere nell'episodio della cornice dei golosi, soprattutto in Purg. XXIII 55-60, 85-93, e un po' in tutto il canto.

Il traviamento di Dante, infatti, non fu da lui reputato di natura stilistico-retorica, per essersi prestato ai giuochi della tradizione giocosa sin da Sonar bracchetti, e cacciatori aizzare, il suo primo momento comico, ma può anche concernere una certa dispersione d'impegno letterario che ebbe a verificarsi nel periodo successivo alla morte di Beatrice, un pentimento del disperdersi, ultimata la Vita Nuova, in rime spicciolate, senza affrontare strutture e temi di grande respiro. Un semplice confronto di 'mole di lavoro' tra il decennio che va dalla fine della Vita Nuova all'inizio del Convivio, e il ventennio (o quasi) successivo, mostra il desiderio di Dante di trarsi da un'attività frammentaria e pluridirezionale e concentrarsi in opere organiche: una salvazione letteraria, insomma, che vuol rispondere globalmente al rimbrotto di Guido per la "vil tua vita", per l'"anima invilita". L'altra e più probante ipotesi, che vede nel traviamento una follia filosofico-teologica, trova più piena giustificazione in quanto il traviamento è immesso in una crisi che minacciava di disgregare il Dante poeta, introdurre elementi devianti nella sua storia intellettuale, disimpegnare il Dante politico davanti ai grandi fatti che s'andavano producendo in Firenze con gli Ordinamenti di Giustizia, ma soprattutto allontanare l'animo dai temi della loda a lui congeniali e che gli avevano procurato, assai più delle rime comiche, la fama di dittatore di nove rime.

La collocazione della crisi nella data del viaggio oltremondano (1300) è puramente indicativa di una fictio poetica in atto, dunque dell'esigenza di situare la visio non reale ma simbolico-narrativa in un momento che rispondesse alla complessa argomentazione allegorica e numerologica; e che, infine, lo smarrimento filosofico-religioso consta di due tappe, l'una riversata nel turbamento conseguente la morte di Beatrice, l'altra "in un'epoca più vicina al 1294 che non al 1300". "E dunque il traviamento di Dante", ebbe a concludere il Marti, "non è solo amoroso, né solo religioso, o intellettuale, o morale, o stilistico, e sarà stato magari tutte queste cose insieme senza essere specificamente nessuna di esse", tentando una soluzione sincretica rispetto alla tesi del Barbi sulla dissipazione morale, del Pietrobono su quella religiosa, del Maggini sopra una deviazione di ordine amoroso, del Contini circa un traviamento stilistico, e rintracciandone le cause in una ricerca della realtà, in un netto distacco dalla metafisica del dolce stile, per il desiderio d'immergersi nella realtà onde "viverla dal di dentro in un atto di effettiva e totale presenza, guidata dall'inflessibilità dell'imperativo etico".