BIOGRAFIA DI DANTE ALIGHIERI


12. L'ultimo rifugio. Il "Paradiso"



Nel fervido cenacolo della città e della corte di Guido Novello da Polenta, più di un coetaneo e più di un giovane letterato o retore o giurista si strinse accanto al celebrato autore dell'Inferno e del Purgatorio, accogliendo con entusiasmo l'arrivo di un sommo uomo di pensiero e di scienza, il quale era ben in grado nella sua conversazione dall'impareggiabile altezza d'impartire preziose nozioni di stile e di retorica. Il signore di Ravenna, poi, volle impegnarlo in ambascerie e relazioni cancelleresche, mai in un servizio continuo e ufficiale di segretario che avrebbe distolto Dante dal compito di continuare a porre fine al Paradiso: incombenza che il Polentano volle rispettare in massima misura, fornendo a Dante un'"oasi di pace" (Chimenz) dopo i trambusti a le diffîcoltà della "dinamica ed eterogenea corte scaligera". La presenza di Dante determina un effetto nella tradizione letteraria di Ravenna così ampio e profondo che uno simile non s'avrà, vivente lui o nel decennio successivo al 1321, né a Verona, né a Firenze, né in altro ambiente culturale italiano; si va dall'imitazione più fedele ma anche più consapevole del Mezzani alla giovanile epigonia scolastica del Perini, fiorentino anch'egli, dalla sodalitas certo culturale ma prevalentemente personale del Giardini all'esperienza scientifica e filosofica del Milotti e di Guido Vacchetta. Nel cenacolo hanno posto anche Pietro e Iacopo, sia pur in posizione secondaria per la loro età giovanile alla quale le cariche di Pietro poco aggiungevano, sebbene il soggiorno a poco a poco offra uno spazio proprio anche ai figli del poeta. Lo si vede dalla sentenza del 4 gennaio 1321 con cui il concilio del clero ravennate condannava tra gli altri Pietro a pagare le procurazioni dovute al cardinal Bertrando del Poggetto. Eppure pensiamo ai figli, naturalmente anche ad Antonia, monaca forse col nome di suor Beatrice nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi, non già per ingrossare le fila del cenacolo dantesco, ma per un motivo in più perché l'autore della Commedia si trovasse a suo agio nella città dei Polenta per concludere il poema sacro. Gemma fu con loro? In genere si tende a escluderne la possibilità, soprattutto in forza della suggestione delle parole del Boccaccio: "una volta da lei partitosi, [...] né mai dove ella fosse volle venire, né sofferse che là love egli fosse ella venisse giammai". Ma Ravenna offriva molto di più di quanto aveva dato e dava Verona (altrimenti il trasferimento non avrebbe avuto ragione), ed era più vicina a Firenze, almeno della metà. Se Antonia è a Ravenna ed entra nella vita religiosa, più probabilmente vivente il padre anziché dopo la sua morte, la presenza della madre è più che possibile.

Agli anni di Ravenna, accanto al compimento del Paradiso, si riconducono le due Egloghe. Quanto alla Quaestio, a stare alle premesse la disputa accademica apparirebbe allestita di ritorno da Mantova, durante un'occasionale sosta alla corte di Cangrande, e la lettura nella domenica del 20 gennaio 1320, nel sacello di Sant'Elena, farebbe presupporre un primo periodo di predisposizione di materiali a Mantova stessa, una stesura della lectio nei giorni antecedenti il 20 gennaio, e forse una consegna del testo definitivo a Cangrande. È possibile però interpretare la Quaestio come un lavoro tutto occasionale e imprevisto, o è tollerabile la congettura che Dante serbasse in sé da vario tempo l'intenzione di ratificare le proprie cognizioni e supposizioni cosmogoniche, a chiarimento e superamento di quanto aveva affermato nel canto XXXIV dell'Inferno, e provocasse in qualche modo il dibattito mantovano e la prolusione veronese? In tal caso la Quaestio potrebb'essere anch'essa lavoro ravennate, nell'inoltrato 1319, tenuto da parte per una cerimonia ufficiale a Verona non predisposta all'ultimo momento, con l'occasione del passaggio al castello di Cangrande, ma da tempo offerta a questi quale omaggio dell'antico ospite.

Nella cronologia della corrispondenza poetica con Giovanni del Virgilio, dagl'inizi del '19 prolungabile sino alla fine del '20, i due componimenti bucolici di Dante possono essere stati redatti con un intervallo di circa un anno: per motivi che emergono da riferimenti storici interni al testo di Giovanni e anche dalla testimonianza esterna del Boccaccio, il quale riferisce che Dante tardò un anno a rispondere, così che il testo di Egloga IV pervenne al destinatario dopo la morte del poeta (postilla del Laur. pluteo 29 8). Tale cronotassi non contrasta affatto coi tempi di composizione del Paradiso, anzi suggerisce la possibilità che il ritardo possa essere stato dettato da una ragione superiore, e nessuna può essere suggerita fuori di quella della conclusione della terza cantica, più che probabile nel pieno 1320; di modo che soltanto all'epoca di risistemazione e revisione del Paradiso (gli ultimi nove-dieci mesi di vita) Dante avrebbe potuto aver agio di riprendere con la seconda responsiva l'originalissima riscoperta del genere bucolico. La diffrazione di attività e d'impegno letterari che avevamo celebrato nella giovinezza dell'autore delle rime realistiche e della Vita Nuova, il prorompente bisogno di tenere occupato l'intelletto con prove differenti, restano caratteristiche del genio di Dante anche nell'età dell'incipiente senectute: l'asciutto verbo della Quaestio e i callidissimi esametri delle Egloghe accanto al disegno sublime dell'Empireo; cioè da un lato l'inserimento d'interiori meditazioni e di sofferte memorie politiche nel tessuto della tradizione classica, dall'altro il consueto vigore dell'argomentare dantesco affidato alle capacità d'interna vibrazione dell'animus sdegnoso dello scrittore, infastidito dalle voci dei mediocri e degl'invidiosi che si levano verso di lui.