BIOGRAFIA DI DANTE ALIGHIERI


5. L'impegno politico per Firenze




Nello stesso periodo in cui andava evolvendosi la formazione letteraria di Dante e si completava la stesura della Vita Nuova, i documenti di archivio registrano una sola presenza nell'atto di procura di Guiduccio di Ciampolo da Petrognano, il quale in data del 6 settembre 1291 nomina suo procuratore, nella causa contro un tal Aringhiero, il notaio Maschio del fu Bernardo: fungono da testimoni un altro notaio, ser Bonaventura del fu Tano "et Dante cd. Allaghieri populi Sancti Martini Episcopi ". È lo stesso periodo in cui può esser posta, con la questione di Lisetta, la corrispondenza poetica di Dante con Aldobrandino Mezzabati, che fu capitano del popolo in Firenze dal maggio 1291 al maggio 1292; ma la risposta del padovano a Per quella via che la bellezza corre potrebbe essere anche successiva alla partenza da Firenze, e quindi il caso di Lisetta spostato oltre i confini della primavera del '92, dunque complicarsi non soltanto quanto all'identificazione della donna, ma anche in rapporto alla cronologia delle Rime. D'altronde già le due donne dello schermo (V.N. V-VIII e X), seppur non ancora coimputabili nel processo del cosiddetto traviamento, avevano aperto la diatriba intorno alla serie delle donne contrapposte a Beatrice quale motivo di allontanamento dalla diritta via, nel coacervo di quella "quaestio de mulieribus" che ha fatto versare, tra tesi e antitesi, fiumi d'inchiostro all'esegesi dantesca, a caccia di flagranti episodi di passione sensuale, sovente l'uno frammisto o giustapposto all'altro: Fioretta come prima donna dello schermo e poi mascherata sotto le vesti della Pargoletta o della Pietra; Fioretta e Violetta riunite nella stessa persona dalla comune simbologia floreale (dunque Per una ghirlandetta e Deh, Violetta, che in ombra d'Amore avvicinate anche nel tempo); e la Pargoletta, se vada isolata entro il contesto delle tre liriche dedicatele ovvero identificata con l'allusione sarcastica di Beatrice in Purg. XXXI 59 o persino immessa nel ricordo dell' explicit della petrosa Io son venuto al punto de la rota, v. 72 se in pargoletta fia per core un marmo (quindi Pietra uguale Pargoletta); la donna pietosa e poi gentile, nei tratti comuni e in quelli differenziati; anche Matelda, per la parte concernente una poco probabile affinità, tuttavia parimenti oggetto di studiatissima querelle, con una donna dello schermo o con Monna Vanna o con la Donna gentile; infine, buone ultime perché riferibili una forse, altra certamente, all'età dell'esilio, l'alpigiana della canzone montanina Amor, da che convien pur ch'io mi doglia, e la lucchese Gentucca, di Purg. XXIV 37 ss., anteposta di appena sei canti alla riapparizione della gentilissima. Tutte le congetture, a questo punto, restano aperte: anche che nessuna donna 'reale' possa esser posta in antagonismo a Beatrice, e che d'ogni personaggio appaia la proiezione, differentemente variegata, di una fitta tipologia psicologico-amorosa che serva ora da fondale, ora da mezzo di contrasto, ora da contraltare alla loda di Beatrice.

In questo lasso di tempo il poeta, reduce dai campi di battaglia, si veniva a trovare sempre più a contatto con la vita politica della città. Le vittorie militari, sul duplice fronte di Arezzo e di Pisa, rendevano più impegnativa l'attività di Firenze sul fronte interno, a distanza di tanti anni dall'impetuoso e oltranzista risveglio guelfo dopo il ripristino della carica del capitano del popolo, e dal successivo tentativo di un governo bipartito guelfo-ghibellino, che certo aveva creato nell'animo dei giovani della generazione di Dante suggestioni destinate a fruttificare nel tempo, speranza di una pace giusta e definitiva tra le fazioni, pur tuttavia di scarsa durata dinanzi al lento prevalere (1281, energica stretta antighibellina del governo dei Quattordici) della Parte guelfa, consacrata dalla creazione dei priori (1282), e, qualche anno dopo (1287), dall'ingresso delle cinque arti medie nei consigli del comune. La società intellettuale di Dante era comunque rimasta silenziosa spettatrice, e lo resterà non solo durante le campagne del 1289 e il susseguente 'decreto-catenaccio' delle provvisioni canonizzate, ma anche nel triennio successivo: giugno 1290, quando i Fiorentini saccheggiarono le terre aretine e quelle del conte Guido Novello; settembre 1290, scaramucce dell'esercito fiorentino contro Pisa, ma nuove vittorie di Guido da Montefeltro con la riconquista dei castelli di Montefoscolo e di Montecchio; 23 dicembre 1291 nuovo colpo di mano di Guido da Montefeltro, il quale strappa ai Fiorentini il castello di Pontedera, e i Fiorentini non riescono a organizzare una controffensiva; 14 gennaio: consulte fiorentine sulle proposte di pace di Niccolò IV; 4 aprile: morte del papa e inizio della lunghissima sede vacante; giugno 1292, altra scorreria, questa volta vittoriosa, dei Fiorentini contro la città di Pisa: fatti senza ragguardevole udienza nella memoria di Dante, se si eccettui l'interesse sempre vivo per la figura del Montefeltrano e per i fatti pisani. Tuttavia è proprio verso la metà del 1292 che cominciano a fermentare eventi nuovi nella storia politico-sociale di Firenze, sì da destare sempre di più l'attenzione degl'intellettuali della generazione dell'Alighieri; 10 giugno: richiesta dei priori d'inserire nel Consiglio del popolo trenta consiglieri in sovrannumero; estate: un movimento sempre maggiore del ceto popolare, con immediate ripercussioni nei dibattiti e nelle deliberazioni in seno ai Consigli cittadini; novembre: animata discussione in vista della nomina dei nuovi priori; e, fatto ancor più appariscente, il passaggio di Giano Della Bella dai Grandi al partito popolare, inizio dell'agitata stagione del 'secondo popolo', che sfocerà sul finire dell'anno nei documenti preparatori degli Ordinamenti di Giustizia, sanciti il 15 gennaio del 1293.

Per quanto il '93 richiami altri elementi relativi a Dante, i 584 x 2 = 1168 giorni della rivoluzione di Venere nel suo epiciclo e quindi la vicenda d'agosto dell'apparizione della Donna gentile (cfr. Conv. II II 1), lo studio d'ora in poi fondamentale della filosofia, e al tempo medesimo uno dei possibili momenti della Tenzone con Forese, si mutuerebbe una troppo facile immagine di un Dante tutto "solingo in bei pensier d'amore", in luogo di quella di un uomo di cultura che senza nulla detrarre dal proprio impegno filosofico avverte il sopraggiungere di una novella età politica, che poco più di sei mesi dopo lo vedrà svolgere, come sembra, un ruolo diplomatico-culturale nient'affatto secondario, in quel 1294 che doveva vedere: la morte di Brunetto Latini; preparativi in Firenze per il passaggio di Carlo Martello; apprestamento di una delegazione cittadina, al cui comando è posto Giano de' Cerchi, figlio di Vieri e coetaneo di Dante, col quale aveva combattuto a Campaldino; arrivo ai primi di marzo del giovane principe degli Angiò>; indirizzo di saluto di Remigio de' Girolami in Santa Maria Novella; arrivo di Carlo II con la moglie e gli altri figli (11 marzo); partenza dei reali sul finire dello stesso marzo 1294; soggiorno a Siena.

Tutto il contesto del celebre episodio del c. VIII del Paradiso non ha consentito che biografi e commentatori del poema esprimessero il benché minimo dubbio sulla circostanza che Dante abbia fatto parte della delegazione fiorentina, anzi fosse stato tra i più intrinseci di Carlo Martello. Che l'impegno diplomatico non distraesse il poeta dalle fatiche letterarie, è provato dalla citazione che proprio in Par. VIII 37 è fatta dal principe angioino della canzone Voi che 'ntendendo, rammentata a bella posta dal suo autore forse perché letta e commentata di persona a Carlo Martello, o argomento tra di loro di conversazione accanto ad altre rime del Fiorentino, se non addirittura scritta durante i preparativi dell'arrivo e nelle tre settimane di permanenza in Firenze. Non è cosa insolita per Dante il ricorrere alle reminiscenze che le anime della Commedia conservano delle canzoni di lui, non soltanto a scopo di citazione esplicita, ma anche per presentare qualche elemento orientativo sulla data, pur anche approssimativa, della loro composizione: si veda l'incontro con Casella e la canzone Amor che ne la mente mi ragiona.

Carlo Martello fu il primo personaggio politico di spiccata importanza che Dante ebbe modo di conoscere da vicino, e del quale divenire intimo, di un'amicizia che, a stare al testo della Commedia, sembrerebbe esser durata a lungo dopo la partenza di Carlo; ma non si vede in qual modo ciò potesse verificarsi, poiché il re titolare d'Ungheria non ebbe a ripassare per Firenze, né è ricevibile l'ipotesi che Dante con gli altri Fiorentini lo scortasse sino ai confini del Regno di Napoli. Si dovrà affermare, invece, che probabilmente Dante volle interpretare nella luce di un grande affetto un breve episodio di dimestichezza con un regnante, non già per esaltare sé medesimo oltre ogni misura, ma per meglio effigiare poeticamente l'atmosfera del cielo di Venere e la raffinata cortesia di quel personaggio singolare tra gli Angiò, l'eccezione a contrasto con la dura 'ragion di stato' e le colpe morali del padre e dell'avo.

È nota la compromissione politica di Carlo Martello in una vicenda, sempre del '94, centralissima nella memoria personale e poi 'poetica' di Dante: l'elezione papale e l'abdicazione di Celestino V, da Carlo Martello raggiunto nella città dell'Aquila poco dopo il 5 maggio, a meglio rinsaldare le mene del Ciotto di Ierusalemme; la presenza alla consacrazione episcopale, poi all'incoronazione papale di Pietro del Morrone (17-21 e 29 agosto); più tardi (13 dicembre) l'abdicazione, dieci giorni dopo l'ascesa di Bonifacio VIII. Fu proprio Carlo Martello, in quanto vicario del Regno, a inseguire e catturare Celestino a Vieste, all'interno del suo feudo di Monte Sant'Angelo. Attraverso un reincontro o un messaggio di Carlo Martello, testimone di così drammatici eventi, o di qualche suo seguace più tardi incontrato, Dante poté ricevere qualche particolare del gran rifiuto di Celestino e degli intrighi del suo terribile successore (qualche specifico elemento, poiché il complesso della vicenda fu di pubblico dominio).

S'innesta qui l'ipotesi della partecipazione di Dante all'ambasceria di nobili fiorentini a Napoli (5 ottobre '94), durante la residenza che Celestino V fu costretto a prendere nella capitale del Regno (dal settembre): ipotesi fragilissima se non addirittura insussistente, legata da un lato alla profondità dell'amicizia che il poeta proclama di aver avuto con Carlo Martello, scortatore col padre Carlo II del vecchio pontefice dall'Aquila a Napoli, d'altro canto implicata dal vidi e conobbi (Inf. III 59) con cui viene identificata la misteriosa figura del vestibolo dell'Inferno, al caso Celestino V. Altri elementi, tra i quali la notizia aberrante fornita dal Filelfo secondo cui Dante si sarebbe recato a studiare logica allo Studio di Napoli ovvero il ricordo del monte Cacume (sulla strada tra Roma e Napoli, ma visibile pur da Anagni, dove Dante potrebbe essersi recato durante l'ambasceria presso Bonifacio VIII), ancor meno possono essere invocati al riguardo. Del resto far parte di una vera e propria missione diplomatica comportava un ruolo e un rango politico, all'interno dello stato fiorentino, che Dante non poté avere prima dei temperamenti del '95 degli Ordinamenti di Giustizia, mentre la chiamata a un corteggio di giovani al servizio di Carlo Martello non rivestiva responsabilità politica, essendo incarico di natura 'cortigiana' al quale il governo del secondo popolo poteva opportunamente delegare gentiluomini esclusi dal potere pubblico. Quanto al vidi e conobbi di Inf. III 59, anche i sostenitori dell'identificazione del dannato con Celestino V non insistono su una conoscenza personale che Dante potesse aver avuto di Pietro del Morrone. Per concludere è temerario affermare che il poeta raggiungesse o addirittura seguisse Carlo Martello fino a Napoli, vi conoscesse Celestino V, assistesse alle varie fasi della crisi del vecchio anacoreta avanti il rifiuto, alla vana controffensiva di Carlo II, ai malumori del popolo napoletano, e magari anche al conclave che a Napoli, il 23 dicembre, faceva trionfare al terzo scrutinio Benedetto Caetani.

Il dicembre '94 segna l'inizio di un periodo importante per la città di Dante, scossa dalla necessità di rivedere le linee fondamentali degli Ordinamenti di Giustizia. La rapidissima sequenza degli eventi, dall'insediamento del comitato per lo statuto nella chiesa degli Umiliati di Ognissanti alla cacciata di Giano Della Bella (febbraio 1295), dai febbrili lavori per creare una diversa situazione giuridico-politica che attenuasse lo stato di tensione tra i magnati e i popolani fino all'approvazione della nuova legge (6 luglio), avvicinò l'interesse di Dante alla cosa pubblica, gli fece dapprima prospettare speranze di uscir fuori dalla penombra in cui l'aveva relegato per anni l'esclusione della nobiltà dalle cariche politiche, poi (immediatamente a ridosso del 6 luglio) le speranze si traducono in certezza. Dante, dopo il temperamento degli Ordinamenti, chiede l'iscrizione all'Arte dei medici e degli speziali, in virtù della sua fama di cultore di filosofia e studioso di grammatica. Negli Statuti di tale arte nell'estratto del 1477 delle matricole, sotto la rubrica "Al libro primo delle matricole di Firenze segnato .A. che comincia nell'anno m.cc.O lxxxxvij" è registrato tra gli altri "Dante d'aldighieri degli aldighieri poeta fiorentino. 15".

L'iscrizione cade in una data assai prossima al 6 luglio 1295, se Dante risulta essere dei Trentasei del Capitano già nel semestre dall'1 novembre 1295 al 30 aprile 1296. Interessa dapprima sottolineare che le chiamate politiche di Dante, in tutto il periodo che va sino all'ambasceria sangimignanese, furono in rapporto al suo prestigio personale, non a un'esperienza specifica nell'amministrazione della cosa pubblica, men che mai al rango occupato all'interno della Parte guelfa; il che si evince dalla circostanza che il suo nome non compare nei consigli della Parte o in quello della Credenza o dei Sessanta. Anche se il periodo di effettiva importanza politica di questi consigli è precedente al momento dell'ingresso di Dante nell'arengo politico, i consigli di Parte continueranno nell'età successiva al periodo 1267-1280, e cioè alla pace del cardinale Latino, allorché amministrarono in pratica la vita del comune, ponendo in ombra il Consiglio del giudice sindaco. Da quando entra in funzione (1 ottobre 1289) il Consiglio dei Cento, un mese dopo le Provvisioni canonizzate, i consigli di Parte subiscono un'ulteriore decrescenza del proprio potere, a vantaggio di un notevole incremento delle istituzioni di governo, non di partito. Il che fa buon gioco a chi voglia scorgere nell'attività pubblica di Dante il riflesso di un impegno civico e morale, non l'effetto di accordi e di compromissioni nelle anticamere del partito guelfo; donde la messa in luce di prerogative e di istanze tipiche di uno dei Savi o Richesti, come fu il poeta nel 1295, al servizio del potere delle Arti.

Sicuramente definito dal Barbi che Dante non poté prendere parte al Consiglio del 6 luglio, le incombenze del consigliere politico nel semestre predetto non si espressero in pubbliche dichiarazioni; le sue parole vengono verbalizzate in una diversa seduta, il 14 dicembre 1295, quand'egli interloquisce in un consiglio di Capitudini, esprimendo un parere, non conoscibile dalla schematica traccia del verbale, attorno alle modalità necessarie per procedere all'elezione dei futuri priori; la sua mansione di Savio gli veniva da una scelta ch'era stata operata all'interno dei vari sesti, e Dante Alagherii è delegato "de sextu portae Sancti Petri", nel qual era il popolo di San Martino.

A seguito della deliberazione del Consiglio dei Cento, del 23 maggio 1296, Dante viene a far parte del consesso quando già dal precedente 1 aprile questo era entrato in funzione; la cooptazione avvenne in luogo di un consigliere mancante. Di ciò è prova un altro verbale, dal quale risulta che il poeta interloquì nella riunione del 5 giugno '96, convocata per deliberare sopra alcune proposte di legge, per le quali Dante prese la parola onde sostenerne l'approvazione; tali proposte riguardavano lavori di restauro e di costruzione di edifici, e inoltre due leggi di contenuto più specificamente politico: la prima predisponeva provvedimenti affinché non venissero accolti in città a nemmeno ospitati nelle campagne coloro che erano stati posti al bando dal comune di Pistoia (era grave il pericolo che venissero a costituire forze disordinate a tumultuarie facilmente fomentate dai magnati), la seconda rilasciava pieni poteri al gonfaloniere di giustizia e ai priori affinché potessero procedere contro chiunque, "et maxime magnates", compisse atti di violenza e di offesa contro popolani investiti di cariche pubbliche.

La situazione politica s'andava ulteriormente deteriorando; i Grandi esclusi dal governo, poiché non avevano voluto piegarsi al compromesso di chiedere l'iscrizione a un'Arte, eccitavano un continuo stato di tensione, trovando proseliti un po' dappertutto, specie fra le frange ghibelline o ex-ghibelline e nell'ambiente dei fuorusciti delle altre città toscane, continuando a detenere il potere nel Consiglio della Parte guelfa, e di lì cercando di contrastare la politica dei priori e del Consiglio del Popolo. Ma è anche all'interno della Parte che cominciano a determinarsi situazioni di attrito, dapprima tra le singole consorterie, poi polarizzando la lotta intestina all'ombra della sempre crescente ostilità tra i Cerchi e i Donati, infine spianando la strada a una vera e propria suddivisione a livello di partito, già in atto nel 1297.

Dante, imparentato anche se alla lontana col capo della casa dei Donati, ma più vicino per temperamento e per ideali agli uomini della consorteria dei Cerchi, non prende posizione esplicita né per gli uni né per gli altri, anche quando la divisione ha determinato una vera e propria scelta d'indirizzo politico. Non saranno ancora i Bianchi e i Neri della primavera del 1300, pur tuttavia la costituzione dei due partiti è già in atto nel momento in cui Dante inizia a dar pareri nei Consigli. E il suo voto favorevole ai due disegni di legge antimagnatizi del '96 comincia a creare una frattura, ben presto irreparabile, tra il poeta e l'ala guelfa più conservatrice; forse, finché resta in vita Forese (morto nello stesso 1296), i rapporti con Corso Donati si mantengono remoti ma non ancora fieramente... avversi, né il novello "Catellina romano", come lo chiamerà il Compagni, assalirà il lontano parente Alighieri col suo abituale ontoso metro. Del resto Dante, dopo il breve exploit di arringatore tra fine '95 e primavera '96, sembra rientrare nell'ombra. Vero è che sono andati perduti i verbali delle Consulte dal luglio 1298 al febbraio 1301, ma se a Dante fosse stato affidato qualche incarico speciale o avesse assunto atteggiamenti politicamente importanti, ne sarebbe rimasta traccia nei racconti del Compagni e del Villani, negli spogli che il Borghini e lo Strozzi resero delle Consulte per il periodo oggi smarrito, in altra documentazione d'archivio. L'unica traccia, oggi conoscibile attraverso un codice della Nazionale di Firenze, contenente estratti dagli spogli del Segaloni, è la notizia che anche nel 1297 Dante "arringatur", ma il motivo e il contenuto di tale intervento consiliare non dovette essere di grande rilievo.

Ancora una volta lo studioso di Dante è richiamato al parallelo svilupparsi di una linea pubblico-privata e di una linea letteraria, destinate più tardi a fondersi; in questi anni sono collocabili, con cautela, le 'storie d'amore' con la Pargoletta e con la donna Pietra (1296-1297?), la prima parte della corrispondenza poetica con Cino da Pistoia (Io ho veduto; Perch'io non trovo: 1298?), poi Messer Brunetto, quindi Io sento sì d'Amor (1299?). Sul versante della vita 'reale' accanto ai documenti della partecipazione politica si situano presenze archivistiche affatto private, a documentare il sempre più difficile stato economico della famiglia Alighieri, o di Dante soltanto, se la vicinanza di Francesco dovesse intendersi esclusivamente in chiave di garante 'interno' alla situazione finanziaria del poeta gravato dal mantenimento dei figli: Pietro e Iacopo ormai adolescenti, Antonia nata in questo periodo (ma ciò non è possibile; in questi anni Francesco Alighieri è poco più che ventenne, e quindi non ancora in grado di distinguersi come il membro economicamente più vivo a intraprendente della famiglia, quale sarà tra breve). L'11 aprile 1297 Dante e Francesco rilasciano una quietanza per la somma di 277 fiorini e mezzo attraverso atto formale al creditore Andrea di Guido de' Ricci. II 23 dicembre del medesimo anno gli stessi Dante e Francesco dichiarano di aver ricevuto da Iacopo de' Corbizzi un mutuo di 480 fiorini d'oro: evidentemente la situazione finanziaria s'era aggravata nel corso del '97, e il secondo debito, contratto forse per far fronte alla restituzione del primo, segna comunque a fine d'anno un passivo piuttosto pesante, di oltre 250 fiorini. Che le difficoltà fossero molte, sta a provarlo l'intervento, nel secondo mutuo, di vari garanti, di cui due particolarmente legati al casato dei debitori: Manetto Donati, il suocero del poeta, e Durante degli Abati, il nonno materno. Avrà toccato in qualche modo anche Dante, se non altro per la comune solvibilità rispetto ai due debiti del '97, un documento concernente Francesco, per il quale il fratello poeta, il 23 novembre 1299, s'impegna a restituire a Gano di Lotto Cavolini un mutuo di 53 fiorini d'oro.

Anni, dunque, particolarmente duri per Dante, alla vigilia poi di momenti di tale gravità quali accadranno, nel biennio 'fatale' 1300-1301, che s'apre, nella serie documentaria, con un'altra carta, non meno pesante proprio perché legata a debiti contratti all'interno della famiglia (Francesco s'è sollevato nel frattempo dalle strettezze, ed è già in grado di dar una mano al fratello maggiore, come poi durante l'esilio): il 14 marzo 1300 Dante promette di restituire a Francesco un mutuo di 125 fiorini; tre mesi dopo, altra sottoscrizione d'impegno con Francesco; l'11 giugno 1300 Dante promette di restituire al fratello minore un debito di novanta fiorini, non s'intende se a estinzione o ad accumulo del precedente mutuo (forse proprio ad aggravio, ché non appare negli atti alcuna quietanza liberatoria; tuttavia è possibile fosse avvenuta con carta privata). Resta pur vero che il mutuo dell'11 giugno era in parte motivato dalla necessità di provvedere alle esigenze familiari alla vigilia dell'ingresso nel priorato (15 giugno; i priori dovevano permanere giorno a notte nel palazzo della Signoria, nel corso dell'intero bimestre), ma ciò poco o nulla toglie alle difficoltà di carattere generale in cui Dante si dibatteva da anni e che non erano certo attenuate dalla situazione politico-economica della città, prospera quanto a strutture commerciali e finanziarie, ma dilaniata dalla lotta delle classi e dalle guerre interne tra i magnati, e inoltre indebolita dagli scandali e dalla corruzione: basterà citare il fatto, tra tutti gli altri più clamoroso, della confessione resa sotto tortura da Monfiorito da Coderta, podesta nel primo semestre del 1299, delle molte sue malefatte, e, in conseguenza di ciò, del falso operato da Nicola Acciaiuoli, con la complicità di Baldo d'Aguglione, alterando il libro notarile dov'era trascritta la confessione. E sarà questo, più tardi, un ulteriore motivo di compianto, da parte dell'autore della Commedia, dell'onestà dell'antica generazione fiorentina, quando era sicuro il quaderno e la doga (Purg., XII 105). Né più sereno era il panorama politico all'esterno della città, sulla quale aveva posto l'occhio Bonifacio VIII: "Papa Bonifacius volebat sibi dari totam Tusciam", in modo ora risoluto ora cauto, sì da costringere i governanti fiorentini a scorgere in lui, nel '95, un protettore contro le pretese del vicario imperiale Giovanni di Chalon, un arbitro nelle contese tra la fazione favorevole al ritorno di Giano della Bella e quella avversa nel '96, un potente alleato da aiutare con forze militari, nel '97, nella guerra contro i Colonna, assediati in Palestrina e poi domati, quando lo principe d'i novi Fariseí avrà guerra presso a Laterano (Inf. XXVII 85-86). E le guerre continuano a insanguinare le terre d'Italia: il feroce Maghinardo Pagani sconfigge i Bolognesi e conquista Imola: aprile 1296; aspra zuffa tra i Cerchi e i Donati durante una veglia funebre in casa Frescobaldi: dicembre 1296; i Veneziani sono battuti dai Genovesi sul mare a Curzola: settembre 1298; ennesima e ancor più sanguinosa zuffa tra Bianchi e Neri di Firenze: dicembre 1298; Federico II d'Aragona combatte in Sicilia contro il fratello Giacomo e contro Carlo II d'Angiò (1299), e s'avrà poi la battaglia navale di Capo d'Orlando, nuova vittoria di Ruggero di Lauria.

Il 1299 si chiudeva, a Firenze, con l'accusa di complicità rivolta a Corso Donati per i misfatti di Monfiorito. Il capo dei Neri è posto al bando. Ma Bonifacio VIII (siamo proprio sul finire del '99) ne prende apertamente le difese, e lo nomina podesta di Orvieto. Anche per Dante cade l'ultimo velo dinanzi alle sempre più fragili speranze che Bonifacio possa essere arbitro imparziale e sereno garante della pace di Firenze.