BIOGRAFIA DI DANTE ALIGHIERI


3. Gli anni giovanili



L'assunzione delle nuove responsabilità familiari coincide con un mutato quadro politico; nel 1282 il governo delle Arti, il capitanato comunale di Paolo Malatesta, e la città teatro d'incontri, di passaggi, di esperienze delle più varie personalità politiche del momento, in un triennio che s'apre con le giornate fiorentine di Clemenza d'Asburgo, nel marzo 1281, messaggera di pace tra l'Impero e gli Angioini, e si chiude nel 1283 col passaggio di Carlo I d'Angiò, nel marzo, e di Carlo II, nell'autunno. È da presumere che i metodi di guadagno del mercante e cambiatore Alighiero I non potessero essere seguiti dal giovane primogenito. Dante si sposa introno al 1285, nel 1287 circa nasce il primo figlio - il misterioso Giovanni - e va a Bologna, nel 1289 combatte a Campaldino e Caprona Dal punto di vista letterario il 1283 segna la riapparizione di Beatrice e la nascita della poesia dantesca, almeno di quella cognita, col sonetto Savete giudicar vostra ragione (sul piano della reale produzione letteraria), il 1286-1287 circa il presumibile lavoro attorno al Fiore e al Detto; il 1287 vede le rime del periodo bolognese (e la presumibile data di matrimonio di Beatrice); il 31 dicembre del 1289: morte di Folco Portinari; 8 o 19 giugno del 1290: morte di Beatrice.

Importante sarebbe riuscire a intrecciare le date reali da quelle letterarie: il problema è importante soprattutto per la ricostruzione delle vicende coniugali di Dante, ché istituire un qualche rapporto tra la fabula del giovanile libello e il progresso della situazione politico-sociale fiorentina può aver qualche margine di attendibilità assai superiore ai pur tentati rapporti tra l'amore per Beatrice e l'asserita impossibilità che nello stesso periodo Dante potesse provvedere ad accasarsi, a far figli, ecc.; altrettanto dicasi per un analogo rapporto di causa ed effetto tra il matrimonio di Dante e il suo traviamento. La data qui proposta, 1285, vuole aver soltanto valore di congettura intermedia tra l'ipotesi dì un matrimonio precoce, immediatamente dopo la morte di Alighiero e la scelta di un periodo successivo.

Sui vent'anni Dante si sarebbe trovato astretto dal primo impegno militare. Nell'autunno del 1285 erano scoppiate ostilità tra Siena e Arezzo; gli Aretini, capeggiati dal vescovo Guglielmino degli Ubertini, riuscirono a far insorgere a proprio favore gli abitanti di Poggio Santa Cecilia, inviandovi forti truppe; i Senesi il 27 ottobre strinsero d'assedio la cittadina e chiesero subito l'aiuto di Firenze; il 15 novembre i Savi decidono d'inviare cinquanta stipendiari (il numero è poi raddoppiato dalle Capitudini); il 27-28 novembre parte la cavallata fiorentina (comandava la lega toscana Guido di Monfort; una parte del corpo di spedizione resta a sorvegliare i passaggi del Valdarno; il castello cadrà molto più tardi, tra il 7 e l'8 aprile del 1286;): ma la possibilità che Dante facesse parte della spedizione si regge esclusivamente sul V.N. IX 1-4.

Solo col 1287 si riprincipia ad avere qualche notizia abbastanza concreta sulla vita di Dante, con la certezza di un suo breve soggiorno a Bologna. Un tipo affatto nuovo e personale di esperienza letteraria denunciano le rime riconducibili a tal soggiorno, non tanto il sonetto sulla Garisenda, ma soprattutto Se Lippo amico; La dispietata mente; Deh ragioniamo insieme, dove la lettura dello stilnovismo bolognese è indubitabile, proprio perché la tematica e la realizzazione stilistica non risentono ancora della lezione del Cavalcanti, e quindi non dichiarano lo stil novo, fiorentino e di Dante stesso. Ciò fa ritenere assai probabile che l'elaborazione del Fiore sia da datare in un periodo immediatamente precedente il viaggio a Bologna, tra il pieno 1286 a gl'inizi dell'87. Qualche mese dopo il notaio Enrichetto delle Querce era già in grado di trascrivere (secondo semestre del 1287) sul proprio registro il sonetto dantesco Non mi poriano già mai fare ammenda, indubitabile prova della diretta conoscenza che il poeta ha delle due torri della Garisenda e degli Asinelli dopo il novembre del 1286, epoca dello sventramento delle case accanto alla Garisenda e della creazione del trivio di porta Ravegnana.

Per il 1288 nulla possiamo dire che riguardi Dante direttamente. Ma la storia fiorentina, subito dopo l'incremento della base popolare nei consigli del comune registra avvenimenti di rilievo che possono esser posti in rapporto con Dante, se non altro per analogia alla certa partecipazione del poeta ai fatti del successivo anno (Campaldino, Caprona). È l'anno, il 1288, della "raunata di gente a cavallo e a piè" degli Aretini, capitanati da Guglielmino degli Ubaldini, e dell'iniziativa dei Fiorentini, i quali "si dispuosono di contrastare all'orgoglio degli Aretini, e impuosono tra loro ottocento cavallate con ricchi e grossi cavalli, e bandirono oste sopra Arezzo" (G. Villani). Tuttavia tutti questi avvenimenti, cui più tardi la memoria di Dante ritornerà frequentemente, non possono esser messi in relazione con la sua vita; si può soltanto affermare, in punto d'ipotesi, che la ripresa dell'attività militare dei Fiorentini non dovesse disimpegnare Dante sino al punto di trattenersi in Bologna in un periodo non esente da rischi a iniziative per lo stato fiorentino, e che, se lo s'incontrerà l'anno seguente sui campi di battaglia. La presenza di Dante sui campi di battaglia di Campaldino (11 giugno) e di Caprona (16 agosto) non deve essere revocata in dubbio in alcun modo. In tutti a due i casi possiamo citare parole di Dante, leggibili direttamente per il secondo episodio, indirettamente ma in modo altrettanto sicuro per quello scontro che doveva suggerire all'autore della Commedia ben più che la fuggevole visione dei corridor per le campagne aretine, quanto invece la pagina della morte di Bonconte, tra le più indubitabili 'cose viste' di Dante: la topografia del campo di battaglia, la successione degli eventi meteorologici, dall'infittirsi delle nubi tenebrose all'esplodere dell'uragano. Tuttavia la 'lezione' dantesca autentica risuona dalla traduzione che il Bruni rese di un'epistola perduta, Popule mee, quid feci tibi?: " Tutti li mali e l'inconvenienti miei dalli infausti comizi del mio priorato ebbono cagione e principio; del quale priorato, benché per prudenzia io non fussi degno, niente di meno per fede e per età non ne ero indegno, perocché dieci anni erano già passati dopo la battaglia di Campaldino, nella quale la parte ghibellina fu quasi del tutto morta e disfatta, dove mi trovai non fanciullo nell'armi, dove ebbi temenza molta, e nella fine allegrezza grandissima, per li vari casi di quella battaglia ".

Queste parole, alle quali occorre concedere la massima autenticità, gettano luce su una serie di elementi di giudizio: anzi tutto, per dir qui Dante di essersi trovato "non fanciullo nell'armi", sembra si possa inferire che Campaldino fu la prima esperienza militare, ché altrimenti non avrebbe rilevato l'età, sebbene questo particolare serva prevalentemente a rapportare la maturità del giovane rispetto alla "temenza" subita per lo scontro sanguinoso; poi che la partecipazione a Campaldino non fu tra le milizie di riserva, ma tra quelle chiamate all'urto diretto col nemico; infine, e soprattutto, che il testo dantesco relativamente a Campaldino non si doveva fermare all'espressione sopra riportata, giacché il Bruni ebbe a trarne più circostanziati dati: la posizione di Dante nella prima schiera dei cavalieri, il fatto (importantissimo quale testimonianza diretta) che il raggruppamento dei feditori a cavallo venne in un primo momento battuto a superato dalla cavalleria aretina, e che fu proprio questo eccessivo avanzamento dei cavalieri nemici ad allontanarli troppo dalla fanteria e a causare la sconfitta dei nemici di Firenze, ad opera , soprattutto di Corso Donati. Il Bruni può aver aggiunto qualche cosa di suo, ma è certo che tutti gli elementi estraibili dall'epistola perduta sono stati utilizzati.

L'impresa di Caprona porta Dante in altra zona delle operazioni militari della taglia guelfa, in un territorio dove forse egli non s'era ancora recato: la Toscana occidentale: "Nel detto anno 1289 del mese d'agosto, i Lucchesi feciono oste sopra la città di Pisa colla forza de' Fiorentini, che v'andarono quattrocento cavalieri di cavallate, e duemila pedoni di Firenze, e la taglia di loro e dell'altre terre di parte guelfa di Toscana, e andarono insino alle porte di Pisa, a fecionvi i Lucchesi correre il palio per la loro festa di San Regolo, e guastarla intorno in venticinque dì che vi stettono ad oste, e presono il castello di Caprona, e guastarlo " (G. Villani). La disputa della piazzaforte di Caprona era iniziata dalla primavera; occupata dapprima da Nino Visconti, capitano dei guelfi pisani fuorusciti e alleato dei Lucchesi, era stata ripresa da Guido da Montefeltro. I Fiorentini, incoraggiati dalla liberazione di Carlo II d'Angiò (che il 2 maggio era giunto in città, trattenendosi tre giorni tra feste e tornei), non poterono subito dar man forte ai Lucchesi, impegnati com'erano nello sforzo militare con gli Aretini. Sconfitti questi a Campaldino, e rientrati in città (24 luglio), i Fiorentini distolsero una parte del loro esercito, facendolo marciare alla volta dei confini di Pisa. Il poeta era tra i quattrocento cavalieri che consentirono al Visconti di riprendere il castello (16 agosto), dopo tre giorni di assedio.

Col rientro a Firenze Dante viene a trovarsi nel momento saliente dell'avventura narrativa del libello. La successione dei fatti ha le sue leggi invalicabili, eppur è duro passare da eventi di così 'esterna' rilevanza agli elementi di una fabula che vuol sempre essere affatto privata, avulsa dalla realtà circostante, consegnata tutta ai valori astratti del simbolo e del sentimento. Tuttavia le vicende della società politica di Firenze riescono in qualche parte ad attenuare la distanza tra l'iter psicologico e quello della cronaca. Il governo popolare si consolidava, dopo Campaldino, ma il prestigio che i Grandi avevano conquistato sul campo militare, costringeva i popolani a una controffensiva sul fronte interno, impegnandoli da un lato in opere di più decisa riforma sociale, quale l'abolizione della servitù nel contado (il 2 agosto, proprio mentre s'appresta il distaccamento contro Pisa ghibellina), dall'altro consigliandoli ad affrettare l'approvazione delle "provvisioni canonizzate" (nel settembre), un argine contro la cattiva amministrazione finanziaria del comune. Tutto fa, o farebbe, ritenere che per un intellettuale, strappato dagli obblighi militari ai diletti della poesia cortese, e da quegli obblighi avvicinato a conoscere meglio stati d'animo ed esigenze dei vari ceti cittadini, per di più provvisto ormai di esperienza nel campo delle ambizioni politiche di varie città della Toscana, stesse per dischiudersi un periodo di più acuto interesse per la vita della propria città.

Veniamo a trovarci, invece, davanti a una data: 31 dicembre 1289, ch'è quella della morte di Folco Portinari, il cui genero, Simone de' Bardi (marito di Beatrice), è nominato in quei giorni tra i consiglieri fiorentini presso Amerigo di Barbona. Se gli elementi estraibili dalla Vita Nuova possono offrire qualche volta un elemento di giudizio o di semplice orientamento nel succedersi della vita giovanile di Dante, si dovrebbe dedurre che col ritorno a Firenze riprendesse anche l'attività poetica, almeno col sonetto Ne li occhi porta la mia donna Amore, rispetto al quale la morte del genitore di tanta maraviglia avvenne non molti dì passati (V.N. XXII 1), e la divulgazione di Donne ch'avete, la scrittura di Amore e 'l cor gentil sono una cosa precedono di non molto (autunno dell'89, dunque?). Dante possiede più di un motivo per ricordare con esattezza l'episodio. della morte di Folco Portinari,: anzitutto l'elaborazione di Voi che portate e di Se' tu colui, ch'è però argomento sempre debole, come i precedenti, dato che Dante può aver composto i due sonetti, come gli altri, in epoca successiva, adattandoli alla circostanza narrativa del funerale del genitore, del pianto di Beatrice, della disperazione del poeta; poi i nove dì della dolorosa infermitade, sofferti con l'amarissima pena (V.N. XXIII 1) dell'incubo per la possibilità della morte di Beatrice, de lo errare della sua fantasia (anch'essi probabile fictio poetica per introdurre con patetico racconto la canzone Donna pietosa); infine la data della morte di Beatrice (V.N. XXIX 1), della quale s'è già detto a proposito degli elementi che abbiamo a disposizione per stabilire l'anno di nascita del poeta: e cioè l'8 o il 19 giugno 1290.

Si sa che, per quanto si possano accrescere o diminuire i dati di fatto relativi alla Beatrice 'storica' rispetto al personaggio poetico, la data predetta non può essere in alcun modo esclusa dal novero degli eventi centrali della vita di Dante. E si deve, di conseguenza, attribuire una qualche fiducia all'ipotesi che le rime che precedono o immediatamente seguono l'evento funesto siano opere che per ogni verso riguardano fatti della biografia dantesca del 1290, se non certo prove letterarie di quell'anno fatale, in cui vediamo la storia di Firenze evolversi per accadimenti e sviluppi che pur ritorneranno più tardi alla memoria del poeta, anche se non ebbero a riguardarlo da vicino: nel marzo ritorna in Firenze Nino Visconti; dal 10 luglio al 18 novembre è podesta fiorentino il signore ravennate Guido da Polenta il Vecchio, padre di Francesca, e forse da quell'ambiente si sarà sparsa in città la storia dell'eccidio di Rimini, consumato un lustro prima; proprio nel giugno i Fiorentini "feciono la terza oste sopra la città d'Arezzo" (Villani); nel settembre si riprendono le ostilità sul fronte di Pisa, e si distingue con le "masnade" pisane la perizia militare di Guido da Montefeltro, riconquistatore dei castelli di Montefoscoli e di Montecchio; nuove imprese in Romagna del demonio dei Pagani, Maghinardo da Susinana; podesteria aretina di Galasso da Montefeltro. Se riflettiamo al sempre più intenso e severo impegno letterario, sul limitare dell'anno che dovrebbe veder l'inizio (secondo le congetture di molti) del cosiddetto `traviamento': 1291, e non molto prima dell'inizio della Vita Nuova in quanto inserimento delle liriche anche antiche in una suggestiva cornice 'romanzesca': 1292, c'è da ritenere improbabile altro effetto della morte di Beatrice che non quello di una maggiore consapevolezza letteraria. E si dovrà sfatare, di conseguenza, la "scempia ipotesi" (Barbi) che Dante, affranto dal dolore, abbandonasse il secolo, per vestire per qualche tempo l'abito del frate (Buti, difeso appassionatamente dal Salvadori, il quale reputava sicura l'appartenenza di Dante ai Fratelli della Penitenza.

In Conv. II XII 1-7 lo scrittore, in sede di esposizione allegorica e vera, racconta che come per me fu perduto lo primo diletto de la mia anima ... io rimasi di tanta tristitia punto, che conforto non mi valeva alcuno. Tuttavia, dopo alquanto tempo(il che non può significare più anni di stasi dopo il giugno '90, ma un anno o meno di un anno) si pose a leggere Boezio e Cicerone, non subito interamente intesi giacché egli era fornito, oltre che d'ingegno, soltanto dell'arte di grammatica; ma, appreso il valore della filosofia, cominciai ad andare là dov'ella si dimostrava veracemente, cioè ne le scuole de li religiosi e a le disputazioni de li filosofanti. Tradotto con l'indispensabile cautela, il noto passo del Convivio consente di dedurre tre fasi nella formazione intellettuale di Dante: quella retorico-grammaticale (1275-1286 circa, dagli studi dell'adolescenza all'insegnamento di Brunetto e al Fiore), quella filosofico-letteraria (1287-1290 circa: amicizia col Cavalcanti, soggiorno bolognese, attività poetica sino ai disegni letterari susseguenti alla morte di Beatrice), quella filosofico-teologica (1291-1294 o '95 circa: presso le scuole de li religiosi, il culto sempre più personale della Donna gentile e della loda di Beatrice, cioè filosofia e teologia, sino alla conclusione della Vita Nuova, per l'appunto '94 o '95; ma '94 sembra oggi, dal Cosmo al De Robertis, la data più probabile di redazione del libello. Un'interruzione nel processo intellettuale non vi poté essere; sempre Dante attese allo studio e all'arte della rima, sia pur con prospettive e con impegni che s'intensificano col tempo, lasciando ben presto alle spalle Donato, Prisciano, per la cultura 'militante' di Brunetto, aperta a un dialogo diretto coi classici e in continuità di rapporti con la letteratura di Francia dell'ultimo mezzo secolo, e soprattutto in un lungo studio e in un grande amore che, nel momento in cui l'avvicina a chi per lungo silenzio parea fioco, approfondisce i valori morali e spirituali riposti dietro la voce di Virgilio e degli altri auctores; ne discopre l'attualità, esige un sempre maggiore impegno attorno ai testi filosofici.

Del magistero di Brunetto su Dante nulla dicono gli antichi biografi; la notizia compare nel Lana, nello Pseudo Boccaccio, nel Buti, in Benvenuto, ecc., ma non è più che chiosa del testo di Inf. XV 85 m'insegnavate come l'uom s'etterna, su nel mondo, ma non in modo continuo, quanto ad ora ad ora. Dunque non fu certo uno studentato effettivo, piuttosto l'autore del Tresor costituì tramite concreto e aggiornato tra classicità latina, retorica e filosofia medievale, poesia volgare francese da un lato, e dall'altro le molteplici ambiziose aspirazioni della giovane società intellettuale di Firenze, posta dalle vittorie politiche sopra un piedistallo di grande prestigio, in Toscana e fuori.

L'ingresso nelle scuole de li religiosi non comporta sostituzione di un tipo di cultura ad altra, invece arricchimento e perfezionamento di quella circolarità degl'interessi retorico-filosofici danteschi, cui tra breve s'aggiungeranno le istanze storico-politiche. Oggi si tende generalmente a credere che Dante frequentasse sia Santa Croce che Santa Maria Novella, pur convenendo sulle maggiori possibilità di esperienza che potesse compiere nel secondo studium generale rispetto al primo, piuttosto in colloqui e contatti sporadici coi maestri anziché in un curriculum studentesco regolare, di modo che è eccessivo ritenere che potesse anche studiare in quelle biblioteche, dove non è certo che i laici, anche se ascoltavano sermoni o lezioni di teologia morale, fossero ammessi. E s'aprono qui i nomi di Remigio de' Girolami, di Ubertino da Casale, dell'Olivi, i quali nomi andranno fatti a tutte lettere per comprendere l' humus spirituale che sottende al passaggio da Beatrice alla Donna gentile, e all'esplicito trionfo di quella sul simbolo della filosofia naturale; per giungere, infine, attraverso l'apparizione e la vittoria della Donna gentile (agosto 1293), a una nuova e completa presa di responsabilità dello spirito di Dante, e di Dante uomo politico, in un momento nel quale conclusione della Vita Nuova, apparizione della mirabile visione, proposito di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei ( V.N. XLII 1), coincidono con una mutata temperie politico-sociale in Firenze, sì da dischiudere al giovane letterato la strada della vita pubblica, dagli Ordinamenti del '93 ai temperamenti concessivi del '95.