BIOGRAFIA DI DANTE ALIGHIERI
L'esordio del De vulg.
Eloq. è opera di un uomo che tende
celeriter a valorizzare l'originalità della
propria impostazione di studio e il frutto dell'aqua
nostri ingenii, quasi sollecitato da esteriori motivi
che l'inducano a stendere un trattato che possa
procacciargli udienza presso le corti o meglio in una
città illustrata dallo Studio. Tuttavia dall'iniziale
proposito accademico è subitaneo il passaggio
all'occasione politica, che erompe irresistibilmente
allorché al cenno sulla condizione di chi patisce
exilium iniuste pur amando la gloria, si mescola con
obiettività di trattatista la convinzione di quanto
sia errato ritenere che in Italia non vi siano regioni e
città magis nobiles et magis delitiosas
(VE I vi 3) della Toscana e di Firenze: dov'è
opportuno cogliere il dato iniziale dell'autore come non
scevro ma nemmeno ancor corrucciato da risentimenti politici
verso la città natale, e richiamato all'aspirazione
di una patria linguistica più vasta perché
retaggio dell'intera Italia e perché apportatrice
d'ideali ed esigenze culturali non ristretti ai sentimenti,
ai programmi di una sola città, quanto invece
proiettato nell'amplissimo orizzonte del mondo politico
italiano. È pur vero che la lingua delle grandi
canzoni dottrinali non s'intende senza l'elaborazione
teorica del De vulg. Eloq. nel II libro, ma è
anche questa a risultare condizionata e sorretta dal lavoro
ormai decennale attorno allo stile e alla metrica della
canzone, cosicché ben si potrà intendere la
preoccupazione di una teoresi linguistica nella zona anche
cronologicamente intermedia tra il testo della singola
canzone e la lezione concettuale dei previsti quattordici
commenti: teoresi che vede non soltanto l'esaltazione della
propria opera di filosofo-poeta, maestro di componimenti
morali (Doglia mi reca dell'amico di Cino), quanto in
modo meno flagrante la rispondenza dei requisiti di illustre
(illustrante e illustrato), di aulico e di curiale a ogni
elemento espressivo di questa e delle altre canzoni, esempio
vivente di stile tragico, con gravitas sententae, con
superbia carminum, con excellentia
vocabulorum, modello palese di elevata utilizzazione dei più nobili risultati linguistici, metrici e retorici dei Siciliani, dei Toscani di scuola guittoniana e degli stilnovisti, come pure di abile utilizzazione dei Provenzali. Non è meno
importante un ulteriore nesso tra i due trattati:
giustificare il concetto di un volgare anti-municipale e
affatto aulico e curiale come preparazione di un disegno
enciclopedico di totale fruizione nazionale, il
Convivio, a tutti i livelli e aree linuistiche.
Quando si trasporta tutto questo intenso lavorio speculativo
e applicativo sul piano delle rispondenze biografiche, ci si
stupisce ancora una volta della possanza intellettiva di un
uomo che, in anni di così turbinosi accadimenti
interiori e repentini spostamenti di contrada in contrada
d'Italia, sia riuscito a conservare una così grande
capacità di concentrazione mentale: davvero Dante
è uno scrittore dall'intelletto imperturbabilmente (o
quasi) in continua condizione di lavoro; si oserebbe dire di
lui che mai s'era veduto e si vedrà un animus
tanto agitato in una mente così serenatrice e
ordinata. Ed è questo, anche, il segreto di una
'memoria' invincibile e inestinguibile di cose lette e di
cose sentite, tutte in un assieme di circostanze traumatiche
com'è per 1'Alighieri il semplice vivere in
un'età di grandiosi sconvolgimenti politici, tutti i
poli opposti, i quali enucleano la visione storica di quel
periodo nella vastità dei temi della Commedia.
In tale prospettiva prendono luce le anticipazioni del mondo
della Commedia riscontrabili dapprima nel De
vulg.. Eloq., poi nel Convivio: l'amara
riflessione sulle colpe dell'umana natura nella prima
cantica, il calco biblicizzante delle invettive del
Paradiso, il dispregio per la vana superbia dei
principi degeneri nell'Antipurgatorio, l'esaltazione
delle virtù dell'Impero onninamente sparsa nel poema,
la presunzione dei cittadini di Firenze, l'ottusa
insensibilità dei Toscani, qui alle eleganze del
dire, nel Purgatorio ai sentimenti di pace e di giustizia, nelle parole di Guido del Duca (due spie dell'analogo assillo per la degenerazione dei costumi), infine la nostalgia della patria lontana. Il filosofo che parla
delle superiori finalità dell'anima umana nel De
vulg. Eloq., e teorizza sul concetto di dignità e
sul triplex iter delle istanze dell'uomo, fonda
nozioni che saranno più centrali nel Convivio.
A chi legga con attenzione il noto passo di VE II 11
6-8, non potranno sfuggire intonazioni ragionative e
predisposizioni di materiale filosofico che appaiono
formulate in modo preliminare rispetto al Convivio;
entrambi sono trattati, ma quello linguistico esige
tempi e spazi minori, mentre l'enciclopedia filosofica
poteva comportare il lavoro di un decennio e in essa Dante
riponeva speranze di plausi e di ufficiali riconoscimenti
ben maggiori, coinvolgendo una somma d'implicazioni
letterarie tutte o quasi di diretta responsabilità
dell'autore, ben poco essendo affidato (rispetto almeno alle
trattazioni volgari del Duecento) alla scolastica
ripetizione di concetti e nozioni scientifiche, morali,
retoriche di uso comune e di stanca glossatura negli Studi.
Un alto proposito insegnativo aveva presieduto alla duplice
fatica di Brunetto Latini e a molte somme e tesori
precedenti, con lo scopo d'istruire i lettori attraverso
un'esposizione il più possibile completa dello
scibile umano; Dante non segue più questa strada,
blocca sin dall'inizio la materia ai campi più vari
ma pur sempre concentrati della filosofia morale, astrae
centralmente dalla metafisica e dalla fisica, dalle scienze
matematiche e dalla geografia astronomica, e soltanto ne
utilizza gli elementi e la fenomenologia là dove
questi siano deputati a risolvere il singolo caso etico, il
quale è visto sempre in connessione col preciso
dettato dei versi delle canzoni, di modo che il risultato
sia al tempo medesimo letterario e filosofico, e sfugga a un
limitato fine di esclusiva proiezione dell'enciclopedismo
del Duecento. Inoltre il proposito trattatistico cede
più volte alla veemente carica d'idealità
morali e politiche delle quali era nutrito l'animo dantesco,
e anzi se ne andava sempre più nutrendo verso la
direzione che sarà indicata nella Monarchia ma è già intuibile nei concetti di perennità dell'Impero romano, di vitale difesa dei diritti del volgare, e nel vigoroso entusiasmo per tutto ciò che è nobile e dotto; la moderna concezione della nobiltà dello spirito. Il riflesso
dell'esperienza personale è necessario all'inizio,
quasi a stabilire una preliminare connessione tra il tempo
storico delle canzoni (in un momento, goduto in patria, di
libera applicazione di pensiero, nel transito elaborativo e
sempre più teologizzante da Beatrice alla Donna
pietosa, dalla Donna gentile e di nuovo e definitivamente a
Beatrice) e il tempo della prosa, di forte grumo concettuale
perché sono anzi vissuti da un uomo che non siede
a la beata mensa, non si qualifica scienziato sic
et simpliciter, ma fruitore di scienza, e non ha alcuna
possibilità di attendere a studi specifici
poiché è portato a diversi porti e foci e
liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade
(Cv 1 iii 5), è costretto a raccogliere le
briciole del convito dei dotti; dato che altro le
circostanze non possono consentirgl; che chiosare le
quattordici canzoni sì d'amor come di vertú
materiate ( I 14). Lo spazio bianco che
intercorre tra la chiosa al commiato di Le dolci rime
e i primi versi dell'Inferno, è enorme quanto
al salto di qualità, al timbro espressivo, alle
scansioni passionali, alla presa in carico di un materiale
smisuratamente più gravoso, ma fu forse bruciato in
un tempo rapidissimo, se non si vuol dar credito a ipotesi
più affascinanti che le due fatiche, finale l'una e
iniziale l'altra, si siano addirittura accavallate per un
lasso di tempo che sono i mesi intermedi dell'anno 1307.
Peraltro il problema non può essere ridotto meramente
a un mutamento di. programma letterario; occorre cercare
qualche motivazione più profonda, che si ricolleghi a
eventi della spiritualità di Dante, poiché in
questo settore forse è dato cogliere il fenomeno
più nuovo che presenti l'incipit
dell'Inferno rispetto alle battute finali dei due
trattati. La rivoluzione poetica a stilistica in nulla,
d'altronde, può contrastare un totale commovimento
etico-religioso, quale ben oltre la visione allegorica della
Vita Nuova irrompe nelle prime terzine
dell'Inferno. Gli elementi religiosi
presenti nella Vita Nuova restavano consegnati alla
materia amorosa, come semplici accessori narrativi, pur
inserendosi nella temperie morale del libello: Beatrice
sedea in parte ove s'udiano parole de la regina de la gloria
(v 1), in una chiesa dove si cantavano le preghiere in onore
della Madonna; quando Beatrice viene a morte, essa è
chiamata dal segnore de la giustiza a tessere le
lodi, a gloriare sotto la insegna di quella regina
benedetta virgo Maria, lo cui nome fue in grandissima
reverenzia ne le parole di questa Beatrice beata (XXVIII
1); ovvero, nel primo cominciamento di Era venuta ne la
mente mia, Beatrice fu posta da l'altissimo signore /
nel ciel de I'umiltate, ov'è Maria (xxxiv 7 3-4);
e così si potrebbero moltiplicare le citazioni dal
libro giovanile, dalle rime del tempo della Vita
Nuova, dalle rime dottrinali, ecc. Ma è
sufficiente aprire le prime pagine dell'Inferno per
avvertire che l'atmosfera spirituale è totalmente
cambiata, sia nel tono fortissimo della carica umana e
passionale che nel più vasto progetto
ascetico-mistico: il viaggio di un'anima che, dapprima
avvolta nelle spire del peccato, ha potuto trovare parte in
sé e parte nella misericordia divina la
possibilità di liberarsi dalle colpe, prendendo
visione di ciascuna di esse nella regione infernale. Questo
itinerario religioso si attua sotto l'incessante
sollecitazione di una grandiosa speranza nella rigenerazione
dell'umanità ma anche sopra lo stabile piedistallo
della fede e della conoscenza storica del cristianesimo (la
presenza dell'idea di Roma come sede perenne della Chiesa di
Cristo; il concetto di 'Impero sacro' perché voluto
da Cristo e che nella sua storia precristiana ebbe la grande
virtù di preparare l'avvento del Vangelo; la
rigenerazione dell'umanità allorché saranno
cacciate le tre fiere). Il profetismo di Dante è
ormai un fatto centrale nella sua vita, un evento totalmente
nuovo anche rispetto a timidi preannunci di una nuova
generazione umana nella canzone Tre donne intorno al
cor; poggia nell'ardente aspettazione dell'arrivo di una
potenza misteriosa (il Veltro, poi il Cinquecento dieci a
cinque), che si può identificare nella potestà
rigenerativa di una gerarchia rinnovata dallo Spirito Santo
e operante in un ambiente che ha la religione della
povertà evangelica, anche nel culto delle tradizioni
liturgiche, massimamente in quello mariale. Il mondo del
profetismo gioachimita e celestiniano del Duecento crea
nuovi temi e interrogativi all'animo del poeta; l'uomo Dante
si ritrae e analizza nelle sue esitazioni morali e nel suo
bisogno di sacrificio e di redenzione, con una forte
percezione del peccato che l'ha macchiato e con ardente
volontà di purificarsi. D'ora in poi la vita politica
e quella intellettuale dell'Alighieri s'identificheranno
totalmente nel titanico sforzo di portare avanti, canto per
canto, il sogno mistico della 'divina'
Commedia.
9. Da "Tre donne intorno al cor" all'"Inferno"
Non è istanza
primaria della critica dantesca, almeno in questi ultimi
decenni, la necessità di concentrare su soggiorni
passabilmente prolungati le varie stazioni dell'opera
dantesca. È più affascinante, magari
difficilior, l'ipotesi di una contemporaneità
d'impegni e di tensioni intellettuali focalizzati in tempo
'aperto' e in spazi geografico-culturali differenti. Si
può dar subito spazio al problema della composizione
del De vulg. Eloq., da assegnare al primo rifugio
veronese, e che pur nell'affinità gemellare col
Convivio quanto all'esposizione di concetti
celebrativi della dignità del volgare italiano,
sembra che abbia avuto una certa precedenza. In tal
senso il rapporto tra Dante e il suo tempo è
più comprensibile come indice del grandioso influsso
che egli esercitò sulla cultura linguistica del suo
tempo, anziché come studio dell'influenza che
l'età produsse sopra di lui; considerando queste
fondamentali prospettive, poco importa soggiungere come
l'altissimo concetto ch'egli aveva dell'arte a della cultura
si traducesse, infine, in una visione troppo letteraria
della nuova lingua, ché nella Commedia
provvederà, con l'intuito fulmineo e la forza
ineguagliabile del suo genio espressivo, a immettere nel
vivo dello stile i fecondi e vivi apporti della parlata
comune e dei dialetti, soprattutto del dialetto fiorentino
nel quale, sostanzialmente, venne scritto il suo capolavoro,
ma è anche redatta la prosa del Convivio.
Infatti nel passo di Cv I v 9-10 se coloro
che partiron d'esta vita già sono mille anni
tornassero a le loro cittadi, crederebbero la loro cittade
essere occupata da gente strana, per la lingua da loro
discordante. Di questo si parlerà altrove più
compiutamente in uno libello ch'io intendo di fare, Dio
concedente, di Volgare Eloquenza, "è
manifesto che Dante, infervorato nella composizione dell'opera di scienza in prosa volgare, che concepiva ben ampia e complessa, rimanda quella sulla Volgare Eloquenza a tempo indeterminato, non senza qualche dubbio che potrebbe ben riferirsi alla causa dell'interruzione ", scrive il Marigo.